Cossiga, lezione viva a un anno dalla morte

Ago 17th, 2011 | Di cc | Categoria: Cronaca Nazionale

Un anno fa è scomparso un grande italiano e uno statista, Francesco Cossiga. I quotidiani dimenticano tutto in fretta. In prima pagina soltanto il Messaggero gli dedica un ricordo di Paolo Savona. Ma non c’è dubbio, Cossiga è stato l’esempio di quanto la politica sia necessaria a questo Paese.

 

 

Da Il Messaggero, a firma Paolo Savona
“Cossiga, lezione viva a un anno dalla morte”

 

Il 17 agosto di un anno fa è venuto a mancare Francesco Cossiga. Uomo di grande ingegno e di profonda cultura, era una vera macchina per pensare. La sua scomparsa pesa in questi giorni tormentati.

Politico fine, ha percorso l’intera carriera nella corrente liberal-democratica della Dc, da galoppino elettorale a presidente del Consiglio, del Senato e della Repubblica. E’ sempre stato uomo delle istituzioni, più che di partito, per la sua raffinata cultura costituzionale: egli era libero docente d’antan di questa fondamentale branca del diritto. Ha attraversato l’intera storia della Repubblica italiana; la triste appendice che viviamo gli è stata risparmiata dalla sorte.

Ha tentato - e qualche volta gli è riuscito - di affrontare il problema più difficile del Paese, la riforma della pubblica amministrazione, che sta avvelenando la convivenza sociale e strozzando l’economia.

Lo Stato, si prende metà del Pil, il Prodotto nazionale lordo, e non è ancora soddisfatto.

C’è sempre un motivo per cui si deve incrementare il prelievo fiscale, ma pochi per ridurre le spese. È l’unico soggetto che può violare impunemente un contratto: è il peggiore pagatore, ma il più intransigente creditore, anche se si tratta di pochi curo. Per la pubblica amministrazione il cittadino è restato sempre un suddito e questo status era mal sopportato da Cossiga, che aveva nel Dna le tracce delle dominazioni subite dalla sua terra, la Sardegna, di cui andava molto orgoglioso. Seguace di Aldo Moro, si è trovato a dover combattere il più subdolo attacco alla democrazia italiana, quello mosso dalle Brigate rosse, ed è restato coinvolto politicamente nel percorso drammatico del suo maestro, dimettendosi da ministro degli Interni dopo l’assassinio dello statista, con un gesto di dignità oggi inconsueta.

L’impegno che ha posto nel comprendere le ragioni dei giovani brigatisti culturalmente sbandati e i suoi legami con i movimenti rivoluzionari europei forniscono un primo spaccato interpretativo della sua cultura politica, che respingeva il conservatorismo e puntava all’elevazione delle classi svantaggiate nelle forme proposte dal riformismo moderato. Si considerava erede di Alcide De Gasperi, per la concezione laica dello Stato e la vocazione europeista, ma sapeva valutare i difetti degli accordi stipulati tra tanti compromessi, lontani dalla razionalità e quindi destinati a impantanarsi - come sta accadendo di fronte ai grandi problemi geopolitici.

Da presidente del Consiglio fu l’unico che riuscì a congelare il rapporto debito pubblico/Pil.

Si documentava attentamente sui contenuti delle decisioni da prendere e prendeva nota dei pro e dei contro, indicando i motivi per cui sceglieva una soluzione piuttosto che un’altra; questo modo di procedere meriterebbe un attenta considerazione da parte di chi si dedica agli studi politici e storici. Il suo archivio è certamente un tesoro culturale da fare oggetto di prospezione. Si potrebbe partire studiando il messaggio alle Camere che inviò prima delle sue dimissioni anticipate dal massimo incarico della Repubblica.

Il carattere di Francesco Cossiga, con la sua forte impronta sassarese, ha indotto taluni a considerarlo un politico non del tutto equilibrato, invece di un censore cosciente e responsabile. In un habitat dei media in cui non fa notizia se un cane morde la gamba di un uomo, ma solo se un uomo morde quella di un cane e i media italiani eccellono in questo comportamento - egli riteneva che, per essere preso in considerazione, occorresse «fare notizia». A lui riusciva particolarmente bene, talvolta tra lo sconcerto dei suoi stessi amici: castigat ridendo mores, si può considerare il suo motto. Gli eventi succedutisi nella parte più importante della sua esperienza - dalla caduta del Muro di Berlino al ciclone di «mani pulite» - lo portarono a connotarsi come un «picconatore» della prima Repubblica, ma le sue esternazioni avevano sempre alla base conoscenze precise che gli derivavano dalla sua ampia rete di relazioni che intratteneva quotidianamente e dall’attenta considerazione del parere di esperti delle materie di volta in volta affrontate, che sottoponeva a domande incalzanti.

L’eredità che ci ha lasciato va ancora correttamente collocata nella storia d’Italia. Non spetta certo agli amici e ai contemporanei pronunciare giudizi su un personaggio così complesso. Questa piccola eccezione è giustificata dal compimento del primo anniversario della sua scomparsa, ma anche dal dovere di sollecitare riflessioni sulla sua opera perché, se è vero che la storia non si ripete, essa è comunque maestra di vita. La vita e l’opera di Francesco Cossiga sarebbero per tutti una fonte preziosa di insegnamento.

Tanto più oggi che l’Italia ha perso coscienza della direzione di movimento

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