MEZZOGIORNO, FORTUNA O IELLA PER L’ITALIA

Nov 25th, 2013 | Di cc | Categoria: Cronaca Nazionale

Siamo nel cuore di Napoli, a due passi dalla Galleria Umberto I, alle spalle del teatro Augusteo. Il nome della  via dove si tiene il convegno sulla “Rinascita del Mezzogiorno” è significativo: Speranzella. La sede: “Scuola della Pace”. Il Movimento unitario giornalisti della Campania -  presieduto da Mimmo Falco -,  che ha organizzato l’evento, non poteva emblematicamente scegliere miglior collocazione perché una piccola speranza c’è ancora che il Meridione d’Italia possa risorgere o rinascere, che dir si voglia. E per far questo c’è soprattutto bisogno di Pace, di “condivisa armonia ed assenza di tensioni e conflitti”, tra Nord e Sud. Cosa che nell’ultimo ventennio non si è vista. Anzi, sembrava che valesse il detto “mors tua vita mea”. E, invece, è proprio l’incontrario, come andava ripetendo il grande meridionalista Giustino Fortunato, “Mezzogiorno, fortuna o iella per l’Italia”. Nel senso che l’Italia sarà ciò che il Sud diventerà.

 

            L’ospite d’onore dell’iniziativa è il prof. Adriano Giannola, attuale presidente della Svimez, l’Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno. Ricorda il miracolo economico degli anni ‘50, dove fu proprio il Mezzogiorno il volano di quel prodigio, con l’emigrazione, con i tanti insediamenti industriali al Sud. Ma quello di oggi è “a rischio desertificazione industriale, dove i consumi non crescono da cinque anni, si continua a emigrare al Centro-Nord, la disoccupazione reale supera il 28%, crescono le tasse e si tagliano le spese. Una famiglia su sette guadagna meno di mille euro al mese, e in un caso su quattro il rischio povertà resta anche con due stipendi in casa”.  E’ fresco di stampa l’ultimo rapporto Svimez, presentato a Roma il 17 ottobre, ma i dati drammatici che esso riporta sono già scivolati via, dimenticati dalla classe politica, ma anche dall’Informazione, come se non fossero qualcosa di drammatico da affrontare subito, con determinazione. 

 

            Che fare? Giannola, nel suo appassionato intervento, sostiene che “il Nord deve capire che il suo futuro sta al Sud”.“Occorre rilanciare una visione strategica di medio-lungo periodo, che veda nella riqualificazione urbana, energie rinnovabili, sviluppo delle aree interne, infrastrutture e logistica i principali drivers dello sviluppo”. Anche il Capo dello Stato, Giorgio Napolitano - come ha dichiarato nel messaggio inviato in occasione della presentazione del rapporto -, è convinto che “la via da perseguire deve essere quella dell’avvio di un nuovo processo di sviluppo nazionale che trovi una solida base nelle grandi energie e capacità umane presenti nel Meridione”.

 

            Il prof. Giannola - anche per la sua esperienza di presidente del Consiglio di Amministrazione del Banco di Napoli - s’infiamma quando si tocca il tasto dello sviluppo mancato e ricorda come fu criminalizzato il Banco, in un recente passato, e come il suo depotenziamento si è rilevato esiziale: “un deragliamento del Mezzogiorno” dal sentiero del possibile agganciamento al resto del Paese. Per toccare con mano la mancanza d’impegno industriale nel Sud, bastano pochi dati comparati: “Nel 2007, il livello di valore aggiunto dell’industria meridionale era fermo ai valori del 2001, mentre dal 2001 al 2007 nelle aree arretrate della Germania e della Spagna è cresciuto rispettivamente del 40% e del 10%”. Può sembrare un assurdo, ma il presidente della Svimez ritiene i fondi strutturali dell’Unione Europea “negativi per lo sviluppo”. E motiva il suo disaccordo con la deresponsabilizzazione  che essi si portano dietro. Se fossero nazionali avrebbero un controllo serio, ma anche, aggiungo io, una progettualità legata non a visioni  localistiche e spesso velleitarie, ma a idee finalizzate  ad uno sviluppo, appunto, nazionale.

 

            “Non si esce dalla preoccupante disgregazione sociale del Mezzogiorno se i partiti, di governo e di opposizione, non realizzano un profondo rinnovamento di strutture, di politiche e di quadri dirigenti. E’ necessario, quindi, un radicale processo di democratizzazione per recuperare ai partiti democratici la loro prima funzione di provocazione politica e di collegamento organico tra bisogni, tensione e mutamenti della società civile e vita, attività e funzioni dell’ordinamento istituzionale del Paese”. Parole attualissime e però vecchie di trentanni queste pronunciate dal compianto segretario confederale della Cisl, Michelangelo Ciancaglini, nel seminario di studi organizzato dalla Cisl Campania  nel settembre del 1978. Nel cercare un intervento del prof. Giannola ascoltato tanti anni prima ad uno dei convegni sul Mezzogiorno - organizzati dall’allora segretario generale della Cisl Campania, Mario Ciriaco -, ritrovo molti  Quaderni della Cisl Campania sulla “Questione Meridionale”. Mi colpisce il fervore elaborativo di quegli anni per trovare soluzioni non assistenzialistiche ad un pezzo del Paese con grandi potenzialità, ma con ben evidenti handicap. Sfoglio le riviste ingiallite dal tempo e leggo i nomi dei relatori ai vari eventi: Francesco D’Onofrio, Franco Marini, Luigi Pedrazzi, Piero Bassetti, Biagio de Giovanni, Luigi Covatta, Pino Acocella, Carlo Borgomeo, Luigi Macario,  Sergio Garavini, Salvatore Vinci, Luigi Frey, Vincenzo Scotti, Bruno Manghi, ecc..

 

            Alla fine dell’incontro saluto Adriano Giannola ricordandogli il convegno di tanti anni addietro alla Cisl. Sostengo anche che la Questione meridionale di una volta era legata allo sviluppo mentre  oggi, a mio avviso,  è legata all’incapacità propositiva dei gruppi dirigenti meridionali. Sorride aggiungendo un “non solo” che tira in ballo le affermazioni che ho riportato di Michelangelo Ciancaglini sui partiti di “opposizione e di governo”. Nel salutarmi spera che non passeranno altri trentanni per rivedersi. Come dire: chi crede nella “Nuova questione meridionale” non può che fare squadra, da subito.

Elia Fiorillo

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