PREFERENZE ELETTORALI, LA TENUTA DEL GOVERNO E IL CASO DE GIROLAMO

Gen 27th, 2014 | Di cc | Categoria: Politica

            Preferenze o non preferenze, questo è il problema. Da una parte Berlusconi non ci sta a voler modificare il testo concordato con Renzi: le liste devono rimanere bloccate. Dall’altra parte Renzi precisa che il punto in argomento non l’ha voluto lui. I patti sono patti e per modificarli c’è bisogno del consenso di tutti i sottoscrittori, sottolinea il sindaco di Firenze. Come andrà a finire non si sa. Certo è che le preferenze elettorali sono diventate un mito o positivo, o negativo. Per alcuni, il ritorno alla democrazia cancellata dal “Porcellum”, che ha fatto diventare il Parlamento un luogo di nominati e non di eletti. Per altri, un possibile  mezzo che favorisce il voto di scambio, il malaffare. E questi ultimi ricordano il referendum abrogativo del 9 giugno 1991, quando   Bettino Craxi e Umberto Bossi invitarono gli elettori ad “andare al mare”. Non volevano che andassero a votare il referendum voluto, tra gli altri, da Segni e da Pannella per l’abrogazione della preferenza plurima per la Camera e per  avere, così, un proporzionale puro con un’unica preferenza per elettore. Gli inviti a disertare le urne non funzionarono. Ci fu un vero e proprio plebiscito di “si”, 95,6 per cento, mentre i “no” furono appena il 4,4 per cento. Anche allora, come oggi, certe posizioni dell’elettorato sono chiari sintomi di dissenso. Con molta probabilità se oggi si andasse a votare per la cancellazione di alcune parti della legge di cui fu estensore il legista Calderoli, i risultati non si discosterebbero molto da quelli del lontano giugno 1991, in senso contrario però. Schizofrenia? Assolutamente no. Solamente dissenso sul modo di (non) fare politica dei partiti nel nostro Paese.

 

            Tanti hanno storto il naso sull’accordo Berlusconi-Renzi. Al di là del contenuto delle intese, si contesta a Renzi di aver fatto un patto con un “pregiudicato” e via discorrendo. In politica lo “spirito di vendetta” o i “risentimenti personali” non contano, conta “l’efficacia” dell’azione, finalizzata ovviamente al bene comune. Anche se nei sondaggi fatti sul rapporto Renzi-Berlusconi quest’ultimo viene considerato più furbo del sindaco di Firenze, il consenso all’accordo è alto, anche se gli intervistati chiedono in maggioranza il ritorno alle preferenze. Tutti elementi che stanno a dimostrare che il comune cittadino non accetta più le meline ed i magheggi dei partiti, ha bisogno di concretezza. Anche questo è un segno di contestazione da tenere nella debita considerazione. Quell’intesa è vista da una parte dell’elettorato come una spinta dirompente a smuovere le acque stagnanti dell’eterno dibattito politico fatto di annunci, di prese di posizioni, di determinazioni perentorie che rimangono parole, solo parole senza trasformarsi in norme legislative. Renzi lo sa bene e proprio per questo ha voluto rischiare“di rompersi l’osso del collo” per girare pagina subito.

 

            Governo o non governo, questo è il dilemma. Se potesse il neo segretario dei Democratici farebbe volentieri a meno del Governo Letta. Non per questioni personali o di concorrenza politica con Enrico. Ma perché è il passato, con una serie di logiche fondanti che lui, Matteo Renzi,  o non condivide, o che, comunque, non l’hanno visto in campo come ideatore. Bel problema! Siccome la scena dell’Esecutivo non si può cambiare immantinente, allora bisogna andarci piano, senza benedizioni assolutorie,  né con paternità conclamate. Ecco perché, finché sarà possibile, il sindaco-segretario i rimpasti di Governo non li vorrà sentire nemmeno nominare. Come d’altronde, al di là di punzecchiature anche pesanti all’inquilino di Palazzo Chigi ed alla sua squadra, si guarda bene dal provocare spintoni esiziali che potrebbero far saltare tutto, portando il Paese alle elezioni anticipate o, presumibilmente, ad un nuovo Governo che, su mandato imperativo di Napolitano, vari quella riforma elettorale che lui faticosamente prova a mettere in pista. Troppe incognite per il sindaco. Meglio, allora,  tenersi “l’usato sicuro” dell’Esecutivo guidato da Letta. Insomma, Renzi è convinto che se riuscirà a portare a casa la Riforma Elettorale, con le preferenze o senza preferenze, il futuro sarà suo e del suo partito. E, allora, avanti tutta, costi quel che costi.

 

            Dimissioni o non dimissioni, questo è stato il dubbio. Aveva combattuto come una belva, il ministro delle Politiche agricole Nunzia De Girolamo, per difendersi dall’immagine, certo non lusinghiera, che era venuta fuori dalle intercettazioni abusive delle sue conversazioni casalinghe. Operazioni di “potere” per addomesticare concorrenti, premiare parenti, ipotizzare nomine. Aveva in Parlamento giocato tutte le sue carte per smentire, rileggere, reinterpretare le frasi pronunciate. Aveva creduto che quei peccati veniali verbali, a suo avviso, commessi non solo da lei, passata la buriana mediatica sarebbero passati nel dimenticatoio. E, in effetti, era avvenuto proprio così, dopo l’accordo Berlusconi-Renzi e le polemiche conseguenti, la vicenda del ministro era rientrata nel giusto alveo dell’attenzione dei media. Sembrava tutto rimandato al “rimpasto”. Qualcosa deve essere successo se inaspettatamente sono arrivate le dimissioni, La belva ferita ha graffiato il Governo con una zampata nel suo ultimo comunicato stampa da ministro. L’accusa che “Nunziatina” muove all’Esecutivo – leggi Enrico Letta - è di “mancanza di solidarietà”. Insomma, l’hanno mollata. Forse è meglio dire “spintonata” verso il gesto delle dimissioni. Renzi aveva chiesto la sua rinuncia fin dall’inizio. L’inquilino di Palazzo Chigi, comunque, si è tolto un peso, diciamo così, d’immagine. Mossa interessata? Forse. Che farà Renzi nella vicenda del sindaco “sceriffo” di Salerno, Vincenzo De Luca, suo amico politico, fatto decadere da sindaco dalla Magistratura per incompatibilità tra la carica di primo cittadino  e quella di  vice-ministro alle Infrastrutture? Ci sono correlazioni nascoste tra la non difesa della De Girolamo e la vicenda De Luca? 

 

            La Campania “felix”, per i due esponenti del Pd, Letta e Renzi, non sembra proprio esserlo: per loro due pare proprio sia “infelix”.

 

 

 

 

Elia Fiorillo

 

 

 

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