STRATEGIE ENERGETICHE

Mag 31st, 2014 | Di cc | Categoria: Ambiente

Il 20 maggio scorso la Federazione Russia e la Repubblica Popolare Cinese hanno siglato un accordo energetico di portata storica. Alla presenza dei Capi di Stato Vladimir Putin e Xi Jinping, i vertici della compagnia russa Gazprom e di quella cinese CNPC hanno stipulato un contratto del valore di oltre 400 miliardi di dollari, che prevede per trent’anni la fornitura trentennale di gas russo verso la Cina per un quantitativo di 38 miliardi di metri cubi all’anno, con una crescita stimata fino ai 60 miliardi (1). Per Pechino, quest’accordo ha un valore importante sul piano ambientale e della modernizzazione economica, in quanto consentirà di ridurre l’utilizzo inquinante del carbone; per Mosca, si tratta invece di un mercato di sbocco immenso per le proprie risorse naturali, che confermerà ancora per decenni il settore energetico come il vettore trainante della potenza russa. È importante ricordare che le trattative per raggiungere questo accordo duravano da circa dieci anni. La crisi ucraina e le sanzioni imposte alla Russia da USA e UE hanno probabilmente accelerato la stipula del contratto, ma di per sé si tratta di una strategia geoeconomica che le due potenze perseguivano da tempo, peraltro non senza difficoltà e incomprensioni. Inoltre, l’inizio delle forniture è previsto per il 2018 e non esclude nessuno degli altri mercati riforniti dal gas russo, compreso quello europeo, ma semplicemente li integra con uno nuovo diversificando le esportazioni di Mosca. Anche in questa circostanza, come è accaduto sempre più spesso nel recente passato, si deve rilevare che purtroppo molti mass media europei e statunitensi tendono a rappresentare la situazione con una logica da Guerra Fredda che non trova riscontro nella realtà delle cose. Diversi organi d’informazione hanno iniziato ad enfatizzare l’evento con titoli quali Russia-Cina: verso un’alleanza contro l’Occidente (2), senza essere convincenti nello spiegarne le ragioni. Non si comprende infatti perché mai un accordo energetico fra due Stati confinanti, le cui trattative andavano avanti da un decennio, debba essere stato pensato «contro» qualcuno, soprattutto quando uno di questi due Paesi, la Russia, è stato di recente colpito da sanzioni economiche ma non ha adottato sinora nessuna misura di ritorsione contro l’Europa. Nonostante ciò, in modo diretto o implicito, la sensazione che il lettore comune ricava dall’ascolto dei telegiornali e dalla lettura dei quotidiani è che avere rapporti con Mosca è estremamente rischioso, perché la Russia sarebbe un Paese isolato dalla civiltà sul piano politico e pronto a lasciare al gelo gli Europei per i suoi inconfessabili interessi economici. Il grande paradosso, rivelatore dell’imprecisione analitica o della malafede di questa russofobia strisciante, è che lo spauracchio della Russia viene agitato molto più oggi che in passato. Per mezzo secolo, quando la Russia era l’URSS e minacciava davvero il Vecchio Continente attraverso i suoi arsenali e le sue quinte colonne (i partiti comunisti d’Europa occidentale), la sua affidabilità come fornitore energetico non ha mai creato problemi e si è dimostrata capace di andare oltre lo scontro ideologico. Oggi, al contrario, la Federazione Russa è un Paese magari con tanti problemi e contraddizioni, ma comunque interessato da un processo di modernizzazione economica, pienamente inserito nel mercato globale, da poco entrato nel WTO e con un livello di libertà e prospettive di sviluppo incomparabili rispetto al passato sovietico. Allontanando la Russia da sé, l’Europa non lavora per la sua autosufficienza energetica, ma al contrario aumenta la sua dipendenza da altri fornitori, in particolare dai Paesi musulmani del Nordafrica e del Vicino Oriente, caratterizzati da un livello assai maggiore di instabilità interna. Una strategia energetica europea che fosse veramente lungimirante dovrebbe affiancare altre fonti agli approvvigionamenti provenienti dalla Russia, ma certo senza escludere quest’ultima, che resta il più grande detentore di risorse naturali del pianeta e storicamente il più sicuro fornitore dell’Europa. Sul versante geopolitico, l’accordo energetico fra Russia e Cina può essere letto in parallelo alle trattative sul mercato transatlantico tra Stati Uniti ed Europa. Si tratta di un progetto con il quale Washington punta a costruire, forse entro il 2015, una zona di libero scambio con l’UE che pone non pochi interrogativi su questioni quali la protezione dei dati personali, la sicurezza alimentare e la tutela dei produttori locali in Europa (3). Questi due accordi economici, l’uno appena siglato (quello russo-cinese), l’altro in via di problematica definizione (quello euro-statunitense), prima ancora delle effettive ripercussioni economiche hanno un rilievo importante nella strategia di «costruzione del nemico» per influenzare l’opinione pubblica. Si potrebbe cioè immaginare uno scenario di questo tipo: qualora si realizzasse il mercato transatlantico ma i contrasti geopolitici tra Stati Uniti e Russia dovessero persistere, i mass media potrebbero agevolmente parlare dell’asse russo-cinese come del nuovo nemico dell’«Occidente». Si tratta di previsioni fondate? Allo stato attuale, la possibilità concreta che l’accordo energetico tra Russia e Cina costituisca il preludio alla formazione di un «blocco orientale» che vede Mosca e Pechino contrapposti a Washington e Bruxelles sembra molto difficile per molteplici motivi. In primo luogo, le due potenze hanno da sempre un rapporto ambivalente, fatto insieme di cooperazione e competizione. In Asia centrale, ad esempio, esse si contendono l’influenza sulle repubbliche ex sovietiche; la Siberia, regione ricca e disabitata di una Russia in continuo calo demografico, è da anni al centro di un’ondata di popolamento cinese che preoccupa non poco il Cremlino. Mosca e Pechino sono due grandi potenze vicine e come tali sono chiamate a collaborare rendendo complementari i rispettivi interessi per non danneggiarsi a vicenda. L’Organizzazione della Cooperazione di Shangai (SCO), fondata nel 2001 allo scopo di combattere «i tre mali» (separatismo, estremismo, terrorismo), è il principale consesso nel quale cui i due Paesi cercano di regolare tali questioni, accanto ovviamente ai rapporti bilaterali. Un altro fattore da considerare è che lo sviluppo dell’economia cinese è ancora legato a doppio filo agli Stati Uniti, di cui com’è noto Pechino detiene la quota più consistente di debito pubblico. La Cina non ha cioè alcun interesse a contrapporsi frontalmente all’Europa e ancor meno agli Stati Uniti, i cui mercati restano anzi fondamentali come sbocco commerciale e, ultimamente, come terreno d’acquisizione di asset strategici. Si aggiunga infine che nelle crisi politiche e militari internazionali la Cina mantiene da sempre un profilo abbastanza isolazionista, senza mai imporre un punto di vista forte in nessuna circostanza (così è stato per le invasioni in Afghanistan, Iraq, Libia, per le guerre civili in Siria e Ucraina). L’asse Mosca-Pechino potrebbe invece dotarsi di una sostanza veramente geopolitica solo qualora i due Paesi riuscissero a scalzare l’egemonia del dollaro, sostituendolo con una nuova valuta riconosciuta dai mercati, e ridisegnassero i meccanismi del sistema bancario e finanziario internazionale. Si tratta però di un’eventualità che per il momento appare ancora lontana, sia per ragioni tecniche sia perché i Cinesi beneficiano ampiamente dall’attuale assetto geoeconomico globale. L’intesa fra Russia e Cina è però senz’altro sintomatica d’un progressivo spostamento del baricentro geopolitico verso l’Oriente del continente euro-asiatico che dovrebbe costituire un serio invito alla riflessione per i decisori politici. La Russia, descritta e percepita sempre come una minaccia, è un Paese europeo: anche se il suo corpo è diviso fra Europa e Asia, la sua cultura, la sua musica, la sua letteratura e la sua storia fanno di essa la componente orientale della tradizione europea, come già fu l’impero bizantino. Ma proprio la sua fisionomia territoriale la rende al contempo un asse di collegamento verso l’Asia. Il trattato di Ner?insk (1689), con cui l’impero russo dei Romanov regolava i confini con l’impero cinese dei Qing, è il primo accordo diplomatico che uno Stato cristiano abbia mai siglato con la Cina. I rapporti politico-diplomatici fra Russia e Cina sono quindi di antica data, e se i quattromila chilometri di confine che essi condividono sono sempre un potenziale di tensione, i due Paesi si confrontano oggi con profitto in numerosi formati internazionali: nella già citata SCO, nelle riunioni dei Paesi emergenti BRICS, nei vertici dell’APEC, l’organismo di cooperazione economica dell’Asia-Pacifico. Se l’Europa riuscisse a migliorare i suoi rapporti con Mosca, ne trarrebbe beneficio anche la sua politica verso la Cina. Contando su una Russia alleata, gli Europei potrebbero negoziare più agevolmente scambi commerciali con Pechino, essere favoriti negli investimenti industriali in vaste aree del continente euro-asiatico, nonché risultare più incisivi nella pressione diplomatica per la difesa della libertà dei cristiani in Cina. Per tutte queste ragioni, l’accordo russo-cinese non costituisce una minaccia per l’Europa. Sicuramente, però, esso mette in imbarazzo la diplomazia dell’UE, che sembra fare di tutto per inimicarsi un grande Paese vicino, affidabile fornitore energetico ed importante partner commerciale che la storia e la geografia rendono un ponte diplomatico ed economico ideale per gestire le relazioni con l’Asia, soprattutto in un mondo globalizzato. Per quanto tempo ancora le élite europee continueranno a definirsi parte di un aleatorio «Occidente», mentre da un lato rinnegano giorno per giorno le proprie radici storico-culturali e dall’altro si mostrano incerte, latitanti e contraddittorie nel custodire e sviluppare i propri interessi economici e strategici?

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