Metteo Renzi e il “suo” nuovo corso

Mar 15th, 2017 | Di cc | Categoria: Politica

di Elia Fiorillo

 

Qualche napoletano del Pd l’avrà pur detto a Renzi che forse non era il caso d’intitolare la kermesse di lancio delle sue primarie “Lingontto ‘17”. Sì, va bene come simbolo il trolley che indica movimento rapido, veloce e senza fine. Va bene anche il Lingotto, per via dello storico insediamento operaio e della nascita nell’anno 2007 del nuovo Partito democratico, con Valter Veltroni segretario che riuscì allora a fare  la pace, momentanea, con baffino D’Alema. Ma quel “diciassette” così ben in vista, senza essere preceduto dal duemila, può crear problemi di sorte. Insomma, può portare male  favorendo i gufi gufanti, e ce ne sono proprio tanti, specialmente quando non si è vincenti. E anche la scritta: “Tornare a casa per ripartire insieme”, sembra un po’ affrettata e fa pensare a quelli che proprio qualche giorno fa sono “usciti di casa” e vogliono, per il momento, “ripartire da soli”.

 

         I tempi cambiano e le batoste pesano e dovrebbero far riflettere. Non è che l’indole di un uomo può essere cambiata dall’oggi al domani, ma l’esperienza insegna a contare fino a… “due” – per Matteo Renzi non vale la regola del quindici – prima di decidere. E, a guardar bene, in alcuni passaggi del suo intervento introduttivo la “regola del due” è stata applicata. Noi abbiamo la responsabilità – afferma Renzi -  di fare tesoro degli errori, rilanciare sugli ideali e i contenuti e restituire una speranza al Paese”. E, ancora: “noi non pensiamo che possa essere un collante la nostalgia. Noi siamo qui per rivendicare il domani, lottando e non rimpiangendo. C’è una diversità tra essere eredi, come vogliamo essere noi, eredi della tradizione migliore, ed essere reduci. Ogni riferimento agli scissionisti in questo passaggio è puramente voluto.

 

Com’è voluto il martellante “noi”, che più di un plurale maiestatis vuole significare un accordo, un’azione plurale dove l’io, o il super io renziano, è messo da parte. E la conferma viene quando afferma: “Non abbiamo sciolto il nodo del modello di partito. La necessità di un metodo diverso e di maggiore collegialità è una priorità, sono il primo a riconoscerlo. E non a caso ho presentato il ticket con Martina”. “Colui – è sempre Renzi che parla - che ha lavorato in Lombardia, ha recuperato la reputazione del ministero all’Agricoltura e ha salvato Expo”.

 

Maurizio Martina è la vera novità del nuovo corso di Matteo Renzi. Non è un suo fedelissimo, non è toscano,  proviene dall’area di sinistra del Pd, è uno che sembra timido ma che in fatto di fiuto politico non è secondo a nessuno. Da ministro delle Politiche agricole ha subito annusato dove tirava il vento, alleandosi con la più grande organizzazione del settore, la Coltivatori diretti. Già dalle prime mosse si capisce che Martina non si sente, né sarà il numero due dell’ex sindaco di Firenze. Non è un caso che proprio lui abbia invitato al Lingotto Emma Bonino che Renzi sostituì come ministro degli Esteri, proprio per dare l’immagine del cambiamento (leggi rottamazione), con la più inesperta e però giovane Federica Mogherini. Ma Martina è anche colui che pescherà nelle primarie voti a sinistra sottraendoli al ministro della Giustizia Orlando. I sondaggi prevedono un netto successo di Renzi su Orlando: 60 a 20 per cento. Al governatore della Puglia Emiliano andrebbe uno striminzito 8 per cento.

 

Ancora una volta Renzi ha ribadito la necessità che il segretario del Pd possa cumulare anche la carica di presidente del Consiglio dei ministri. “L’identificazione tra segretario e candidato premier – sostiene l’ex segretario del Pd - non è una questione di Statuto o di ambizione personale, ma è una consuetudine europea. Se non fossi stato segretario di un partito del 41% non avrei avuto forza. In Ue il mio biglietto da visita era 11,2, i milioni che avevano votato il Pd alle europee perché il consenso è alla base di ogni rivendicazione”. Le obiezioni potrebbero essere tante a questa affermazione. Ma, di fatto, nel nuovo corso Pd ipotizzato al Lingotto, nel caso i democratici dovessero avere la presidenza del Consiglio, sarà il ticket a risolvere la questione: Renzi premier e Martina segretario, non solo pro-forma.

 

“I giornali – afferma Renzi - si domandano se è cambiato il mio carattere. O se è cambiato il nostro umore. Quello che interessa a questo popolo è cambiare l’Italia”. Il carattere di Matteo non è cambiato. E come potrebbe? La voglia di vincere pure. Le strategie per conquistare il potere quelle sì, sono cambiate. Cosa che potrebbe essere positiva, non solo per il probabile nuovo segretario dei democratici.

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