Lavoro: tra speranza, politica e realtà.

Lug 18th, 2018 | Di cc | Categoria: Politica

di Edoardo Barra

 

Di questa legislatura aperta tra perplessità e speranze - a parte la decisa posizione sul tema immigrazione del Ministro degli Interni e leader della Lega - ancora si fatica a comprenderne con esattezza il carattere nel suo insieme.

Il M5S pur di arginare la furia mediatica del Matteo in auge, ha rappezzato un ridimensionamento dei vitalizi ai deputati che in realtà è misera e discutibile cosa, sia per l’argomento sia per l’entità economica, per poi intestarsi un Decreto Dignità che tante discussioni sta sollevando.

Sul tema lavoro, di certo le affermazioni del Ministro circa “manine” che avrebbero inserito calcoli di posti di lavoro persi a sua insaputa, sanno d’incompetenza totale verso i complessi ma necessari meccanismi procedurali legislativi, anche se è vero che su quest’aspetto del Decreto si sono appuntate critiche che appaiono pretestuose e forzate.

Ma andiamo con ordine. Che il lavoro sia oggi il problema più sentito insieme alla sicurezza è fuori discussione. Che sul tema occorra mettere mano con urgenza è altrettanto palese, così come appare evidente come correggere il Jobs Act e tutto ciò che ne deriva sia inevitabile se si vuole dare un impulso serio alla stabilizzazione del lavoro. Ciò che ha previsto il Decreto Dignità di forgiatura dimaiana non è certo quello che ci si aspettava, le innovazioni sono inferiori alle misure sperate ma almeno la direzione appare corretta. La durata massima dei rapporti temporanei di lavoro scende da 36 a 24 mesi, oltre i quali il rapporto s’intende a tempo indeterminato. Tra l’altro dopo il primo rinnovo (12 mesi) occorre spiegare per quale motivo s’intende protrarre il rapporto temporaneo. Su tali aspetti è montata una polemica circa la perdita di posti di lavoro (8.000 all’anno per dieci anni) che, secondo calcoli derivanti dall’INPS, il decreto provocherebbe per l’impossibilità di mantenere in vita il terzo anno di temporaneità e per il leggero aumento del costo del secondo rinnovo. Occorre però fare alcune valutazioni pratiche su tali affermazioni. Se un’azienda usufruisce del lavoro temporaneo (con i vantaggi derivanti nonostante il piccolo ritocco per i rinnovi dello 0,5% sul valore contributivo) è perché ne necessita e la valenza di un biennio risulta più che sufficiente per valutare la risorsa utilizzata e comprendere l’effettiva necessità di un’ulteriore unità in organico. Dunque, se il ragionamento generale è mirare alla stabilità lavorativa, quale sarebbe la difficoltà di farlo dopo due anni invece di tre? Perché se questa non c’è (come di fatto non esiste), allora il risultato è mantenere in vita illusioni creando un tourbillon d’incertezze che a niente servono per lo sviluppo. Senza considerare poi la facilità di interrompere il rapporto lavorativo che ancora rimane nonostante la parvenza d’innalzamento delle quote da risarcire in caso di licenziamento illecito. Quindi l’ipotesi dei posti di lavoro persi, è solo un calcolo sterile rispetto a ciò che era, ora occorrerà vedere se il terzo anno per le aziende che ne facevano uso era una sorta di “beneficenza” considerato come dal mese successivo al trentaseiesimo non c’era più bisogno dell’unità o, nel caso più probabile e magari con altri piccoli incentivi mirati, quella risorsa può essere stabilizzata. Il pressapochismo legato ai numeri che si rifanno a dati del momento è deleterio e solitamente utilizzato da chi vuol avere spazio e visibilità.

E mentre si parla di questo, di lavoro si continua a morire. Ogni volta si cerca una causa contingente, un motivo determinante, senza però accorgersi che la situazione precipita e diventa insostenibile. Il lavoro necessita di sicurezze che devono essere determinate da una serie di norme realistiche. I datori di lavoro, siano essi grandi o piccole realtà, non devono essere lasciati soli nel gestire i canoni di sicurezza necessari. Sì, perché accanto alle morti bianche vi è anche una marea d’infortuni spesso nascosti o del tutto non dichiarati. Non occorre opprimere le aziende con obblighi procedurali in modo che diano vita a corsi senza costrutti per poi fare tutt’altro nell’ambito lavorativo, non si può lasciare che alcuni lavori siano fatti in solitudine quanto è evidente la necessità che si sia almeno in due, non è accettabile che su queste cose non si vigili sul serio e non si offrano anche incentivi e detrazioni per chi giustifica le spese affrontate per la sicurezza.

Di quest’argomento un sindacato ne sta facendo bandiera. L’UGL guidata da Francesco Paolo Capone sta portando avanti una grande azione di sensibilizzazione per far si che il tema sicurezza sia posto al centro del dibattito per un lavoro più giusto. La dicitura che caratterizza questa campagna “lavorare per vivere” non è semplicemente uno slogan, ci dicono dall’UGL, è un’idea, una filosofia, una strada da perseguire con forza e determinazione.

Temi fondamentali per il Paese, facce della stessa medaglia spesso drammaticamente collegate tra loro. Anche su questo il governo e le forze sindacali si giocano una partita fondamentale per il futuro, quella della credibilità.

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