La lettera del Presidente del Consiglio al Corriere della Sera

Gen 31st, 2011 | Di cc | Categoria: Politica

Gentile direttore,il suo giornale ha meritoriamente rilanciato la discussione sul debito pubblico mostruoso che ci ritroviamo sulle spalle da molti anni, sul suo costo oneroso in termini di interessi annuali a carico dello Stato e sull’ostacolo che questo gravame pone sulla via della crescita economica del Paese. Sono d’accordo con le conclusioni di Dario Di Vico, esposte domenica in un testo analitico molto apprezzabile che parte dalle due proposte di imposta patrimoniale, diversamente articolate, firmate il 22 dicembre e il 26 gennaio da Giuliano Amato e da Pellegrino Capaldo. Vorrei brevemente spiegare perché il no del governo e mio va al di là di una semplice preferenza negativa, «preferirei di no», ed esprime invece una irriducibile avversione strategica a quello strumento fiscale, in senso tecnico-finanziario e in senso politico.Prima di tutto, se l’alternativa fosse tra un prelievo doloroso e una tantum sulla ricchezza privata e una poco credibile azione antidebito da «formichine», un gradualismo pigro e minimalista nei tagli alla spesa pubblica improduttiva e altri pannicelli caldi, staremmo veramente messi male. Ma non è così. L’alternativa è tra una «botta secca», ingiusta e inefficace sul lungo termine, e perciò deprimente per ogni prospettiva di investimento e di intrapresa privata, e la più grande «frustata» al cavallo dell’economia che la storia italiana ricordi. Il debito è una percentuale sul prodotto interno lordo, sulla nostra capacità di produrre ricchezza. Se questa capacità è asfittica o comunque insufficiente, quella percentuale di debito diventa ingombrante a dismisura. Ma se riusciamo a portare la crescita oltre il tre-quattro per cento in cinque anni, e i mercati capiscono che quella è la strada imboccata dall’Italia, Paese ancora assai forte, Paese esportatore, Paese che ha una grande riserva di energia, di capitali, di intelligenza e di lavoro a partire dal suo Mezzogiorno e non solo nel suo Nord europeo e altamente competitivo, l’aggressione vincente al debito e al suo costo annuale diventa, da subito, l’innesco di un lungo ciclo virtuoso.Per fare questo occorre un’economia decisamente più libera, poiché questa è la frustata di cui parlo, in un Paese più stabile, meno rissoso, fiducioso e perfino innamorato di sé e del proprio futuro. La «botta secca» è, nonostante i ragionamenti interessanti e le buone intenzioni del professor Amato e del professor Capaldo, una rinuncia statalista, culturalmente reazionaria, ad andare avanti sulla strada liberale. La Germania lo ha fatto questo balzo liberalizzatore e riformatore, lo ha innescato paradossalmente con le riforme del socialdemocratico Gerhard Schröder, poi con il governo di unità nazionale, infine con la guida sicura e illuminata di Angela Merkel. E i risultati sono sotto gli occhi di tutti: la locomotiva è ripartita. Noi, specialmente dopo il varo dello storico accordo sulle relazioni sociali di Pomigliano e Mirafiori, possiamo fare altrettanto.Non mi nascondo il problema della particolare aggressività che, per ragioni come sempre esterne alla dialettica sociale e parlamentare, affligge il sistema politico. Ne sono preoccupato come e più del presidente Napolitano. E per questo, dal momento che il segretario del Pd è stato in passato sensibile al tema delle liberalizzazioni e, nonostante qualche sua inappropriata associazione al coro strillato dei moralisti un tanto al chilo, ha la cultura pragmatica di un emiliano, propongo a Bersani di agire insieme in Parlamento, in forme da concordare, per discutere senza pregiudizi ed esclusivismi un grande piano bipartisan per la crescita dell’economia italiana; un piano del governo il cui fulcro è la riforma costituzionale dell’articolo 41, annunciata da mesi dal ministro Tremonti, e misure drastiche di allocazione sul mercato del patrimonio pubblico e di vasta defiscalizzazione a vantaggio delle imprese e dei giovani.Lo scopo indiretto ma importantissimo di un piano per la crescita fondato su una frustata al cavallo di un’economia finalmente libera è di portare all’emersione della ricchezza privata nascosta, che è parte di un patrimonio di risparmio e di operosità alla luce del quale, anche secondo le stime di Bruxelles, la nostra situazione debitoria è malignamente rappresentata da quella vistosa percentuale del 118 per cento sul Pil. Prima di mettere sui ceti medi un’imposta patrimoniale che impaurisce e paralizza, un’imposta che peraltro sotto il mio governo non si farà mai, pensiamo a uno scambio virtuoso, maggiore libertà e incentivo fiscale all’investimento contro aumento della base impositiva oggi nascosta. Se a questo aggiungiamo gli effetti positivi, di autonomia e libertà, della grande riforma federalista, si può dire che gli atteggiamenti faziosi, ma anche quelli soltanto malmostosi e scettici, possono essere sconfitti, e l’Italia può dare una scossa ai fattori negativi che gravano sul suo presente, costruendosi un pezzo di futuro.   Governo/Berlusconi: con Pannella incontro utile e costruttivo ”Un colloquio utile e costruttivo. Concordo con l’amico e leader radicale Marco Pannella che ha definito cosi’ il nostro incontro di questa mattina”. Lo afferma in una nota il presidente del Consiglio dei ministri, Silvio Berlusconi. ”Un’altra occasione, dopo quella del dicembre scorso, nella quale abbiamo parlato di riforme condivisibili, a cominciare da quella della giustizia”, sottolinea il premier. ”Condivido infine la sottolineatura dell’importanza del dialogo”, conclude.
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Una proposta per il bene del Paese

La proposta lanciata da Silvio Berlusconi sulle colonne del Corriere della Sera di un patto bipartisan per la crescita è la ricetta giusta per il Paese, per l’oggi ed il domani.Per l’oggi, perché dà un contributo decisivo a far uscire la politica dal clima di veleni e di fanghi al quale tenta di portarlo la deriva giudiziaria. E per il domani, perché allontana i fantasmi di una iniqua tassa patrimoniale che metterebbe in ginocchio le famiglie, ma affronta il problema di fondo dell’Italia, la bassa crescita economica appunto.Cominciamo da quest’ultimo punto, che sicuramente interessa molto la gente. L’Italia in questi due anni e mezzo di governo di centrodestra ha tenuto i conti in ordine ottenendo il riconoscimento di tutti; ha però un enorme macigno ereditato dal passato, quello del debito pubblico. In questa situazione non può compiere più di tante manovre espansive a beneficio dell’economia, e soprattutto dei giovani, come invece possono permettersi di fare per esempio la Germania o la Francia.Nelle ultime settimane alcune voci di area di centrosinistra della prima repubblica hanno proposto di risolvere il problema del debito trasferendolo tout-court sulle spalle delle famiglie. Siccome abbiamo un alto risparmio e un’altissima proprietà immobiliare, si è detto, basta tassare questo patrimonio, oppure ipotecarlo a favore dello Stato, per rimetterci in media con l’Europa.E’ una ricetta iniqua che fa pagare a cittadini e imprese, che sono il motore dell’Italia, le colpe della politica passata e della burocrazia. E’ una proposta che minerebbe la nostra società poiché risparmi e casa sono le vere assicurazioni sociali anche per le future generazioni. Ed è una proposta, dunque, che scatenerebbe una grande e motivata ribellione. Berlusconi ha detto fin dal primo momento che, con lui al governo, la patrimoniale “non si farà mai”. La sinistra è divisa tra favorevoli (Veltroni) e contrari (Bersani). Il terzo polo sembra possibilista: avendo nel dna il gene della spesa e non dello sviluppo, per molti di loro una patrimoniale pare la cosa più naturale di questo mondo.Il premier però non si limita a dire no alla tassa che smentirebbe tutti gli impegni del governo ed il mandato di fiducia con gli elettori. Si pone il problema più vasto della crescita, che esiste. Ma anziché con l’aumento delle tasse propone di risolverlo con un piano congiunto e concreto di espansione dell’economia senza gravare sul bilancio pubblico. “Una benefica frustata”, dice.Come? Attuando riforme liberalizzatrici – dalla burocrazia, all’impresa, alla ricerca – che agiscano non sul debito, ma sulla ricchezza. Aumentando questa, il Pil, anche il debito inizierà a ridursi in conseguenza. Occorre però un contributo corale, maggioranza e opposizione, ognuno nel proprio ruolo. Occorre il contributo delle forze politiche ma anche dei blocchi sociali che fanno riferimento ai moderati e alla sinistra: amministratori locali, mondo del lavoro e dell’impresa, scuola, ricerca.Pier Luigi Bersani in passato è stato, da sinistra, un liberalizzatore. A lui il capo del governo e del centrodestra si rivolge non per chiedere aiuto ma per proporre di agire assieme. E questo farebbe anche uscire il dibattito politico dall’avvilente situazione di questi ultimi mesi, nei quali si è parlato di veleni come in un gigantesco tribunale a cielo aperto, con scarsissimo interesse, anzi rigetto, da parte della gente comune. Soprattutto dei giovani.Non è la prima volta che Berlusconi propone un dialogo costruttivo all’opposizione; un dialogo auspicato da sempre anche dal capo dello Stato. Lo ha fatto nel discorso d’insediamento, e lo ha ripetuto quando ha ottenuto un’ampia fiducia il 29 settembre scorso. Il rapporto personale con Bersani, al di là delle asprezze propagandistiche, è civile e rispettoso. Ecco perché quella del premier è la mossa giusta. E’ la ricetta che, come egli ricorda, ha consentito alla Germania di crescere sotto governi diversi, da Schroeder alla grande coalizione fino ad Angela Merkel. Non è l’idea di ammucchiate contro qualcuno senza programmi né leader: è al contrario un percorso nel quale la dignità della maggioranza sia riconosciuta alla stregua di quella dell’opposizione per lavorare assieme per il bene del Paese.Non cogliere questo nuovo appello, sacrificarlo per amore di una polemica inutile, non sarebbe un danno, sarebbe un delitto.

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